Appare sul n°3 di Riforma 2016, a pag.10, un articolo a firma di Leonardo Casorio dal titolo "Marconi, Livorno e la Chiesa valdese: un trinomio non casuale". Ne hanno dato ampia testimonianza in un affollato dibattito due brillanti relatori, alternatisi sul piccolo pulpito della chiesa valdese di Livorno, sabato 8 gennaio scorso.
Questa la locandina:
E questa che segue è la trascrizione dell'articolo:
Lucio Mattiussi, contrammiraglio delle Armi
Navali, ha parlato dei rapporti di Guglielmo Marconi con la Chiesa valdese e
con la famiglia Camperio, e il professor Giuliano Manara del Dipartimento di
Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa (nonché membro della
locale comunità valdese pisana), ha presentato lo scienziato come «un giovane
imprenditore capace di coniugare scienza e impresa per migliorare la società».
Li ha presentati Filippo Alberto La Marca, presidente del Consiglio di chiesa,
dopo aver ricordato la presenza ultracentenaria della chiesa valdese a Livorno,
che ha avuto nei decenni a cavallo del 1800-1900 un’importante incidenza,
religiosa ma anche politica, nella storia della città.
In rappresentanza del sindaco di Livorno,
l’assessore alla Cultura Serafino Fasulo ha sottolineato l’attenzione
dell’amministrazione a ogni manifestazione che valorizzi il patrimonio storico
della città, per cui è sembrato naturale patrocinare l’iniziativa unitamente
all’Università di Pisa e alla Chiesa valdese.
Guglielmo Marconi, battezzato alla nascita
nella chiesa cattolica di San Paolo in Monte a Bologna, sua città natale, il 27
aprile 1874, confermò pubblicamente la propria fede e fu ammesso nella Chiesa
valdese di Livorno il 10 aprile 1892, a 18 anni, come risulta dai registri di
chiesa conservati presso l’Archivio storico della Tavola valdese a Torre
Pellice.
La conferenza ha avuto, tra l’altro,
l’obiettivo di far luce su alcuni aspetti della vita del giovane Marconi a
Livorno, dove ebbe modo di studiare e arricchire le sue conoscenze
scientifiche, umanistiche e musicali. Città che rimase nel suo cuore e da lui
citata nella lectio magistralis tenuta nel 1909 quando ritirò il Premio Nobel.
Il suo
lavoro, le sue invenzioni, le sue scoperte hanno aperto un capitolo nuovo nella storia dell’umanità. Sono oltre
4800 le strade e le piazze a lui intestate in Italia: al terzo posto dopo via
Roma e via Garibaldi. Se il genio di Marconi è stato ed è tuttora celebrato,
non tutti sono a conoscenza della fede religiosa in cui è nato ed è stato
educato: la madre era protestante e Guglielmo fu valdese a tutti gli effetti.
Nella città toscana fu molto amico di Giulio Camperio (scomparso prematuramente
nel 1896) e di sua sorella Sita che sarà una pioniera della Croce Rossa. I
Camperio facevano parte della comunità valdese. Il ricordo dell’amico Giulio
sarà talmente forte che Marconi vorrà attribuire quel nome al suo unico figlio
maschio. Nella chiesa valdese di via Verdi si trova anche il documento che
raccoglie i dati dei suoi membri a fine Ottocento, dove è scritto in data 30
giugno 1897: «Siamo lieti di annoverare, tra i componenti la chiesa, il signor
Guglielmo Marconi, l’inventore del telegrafo senza fili, onore della Patria e
della Chiesa».
Il prof.
Giuliano Manara ha sottolineato che Marconi fu un giovane di talento che raggiunse il suo primo
successo a soli 20 anni, nel 1894, ma che trovò un muro di diffidenza e
supponenza tra le autorità italiane del tempo, che si ostinavano a ignorare la
presentazione dei suoi risultati. Trovò però credito in Inghilterra e seppe
dimostrare di essere, oltre che un inventore, anche un imprenditore capace di
coniugare scienza e impresa per migliorare la società. A 22 anni fu ricevuto
dalla regina d’Inghilterra che, nella sua invenzione, vedeva realizzata la
possibilità di collegarsi immediatamente alle proprie colonie in tutto il
mondo. L’invenzione della radio era vista come un mezzo utile alle
comunicazioni, alla sicurezza dell’umanità nella logica dei viaggi per mare,
alla regolamentazione dei traffici portuali, nell’ottica di un sistema di
sicurezza volto al soccorso in caso di bisogno. Impediva la condizione di
isolamento facendo rimanere in contatto tra loro le persone e attivava le
comunicazioni in tutte le case come mezzo di diffusione delle conoscenze,
rivolte a tutti, analfabeti compresi. Dieci anni dopo, la sua fama era tale che
al suo rientro in Italia per ultimare e migliorare i suoi esperimenti, fu
accolto a braccia aperte e poté finalmente godere della fiducia anche del suo
paese.
Oggi che con tanta disinvoltura si usano in tutto il mondo strumenti sofisticati di telefonia, non sempre ci si ricorda che questi si avvalgono delle scoperte di un giovane imprenditore che, con il suo
ingegno, ha saputo proiettarsi in un futuro con la consapevolezza di un uomo
che, osando, ha avuto fiducia che la società può evolversi e migliorare
soprattutto con la serietà dell’impegno, con la costanza della sperimentazione
e la condivisione di esperienze e conoscenze.
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